Alta qualità e continua ricerca dei prodotti migliori.
Questo il punto principale della filosofia alla base del nostro lavoro. La selezione di una marca di birra è un aspetto importante per Il Ritrovo e tanti sono i fattori che determinano la scelta. Una vera birra è esattamente come un singolo individuo di carattere, un artista, personalità unica, irripetibile. Quando si tratta di gustare una vera birra, bisognerebbe scegliere in base a tutto ciò: origine e originalità, tradizione e carattere unico. Allora si renderebbe superfluo ricorrere a retorici discorsi sulla qualità o trovate pubblicitarie più o meno convincenti.
Storia della birra italiana
I primi consumatori di birra “italici” furono gli etruschi, che erano soliti pasteggiare con una bevanda chiamata pevakh, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele. Anche i Romani, influenzati dalle popolazioni del nord Europa, ne apprezzarono il sapore. Tra i suoi estimatori più famosi ricordiamo Nerone e Agricola, il governatore della Britannia. Ma nei secoli, di aficionados importanti la birra ne ha avuti molti: la regina longobarda Teodolinda, Papa Clemente V, il condottiero Federico Barbarossa e il principe Ludovico il Moro.
I primi produttori italiani di birra furono niente meno che i monaci di Montecassino, che nel Medioevo lanciarono una tradizione che ancora oggi sopravvive nelle celebri Trappiste dei conventi belgi ed olandesi. nord Europa, ne apprezzarono il sapore.
Tra i suoi estimatori più famosi ricordiamo Nerone e Agricola, il governatore della Britannia. Ma nei secoli, di aficionados importanti la birra ne ha avuti molti: la regina longobarda Teodolinda, Papa Clemente V, il condottiero Federico Barbarossa e il principe Ludovico il Moro.
La data simbolica in cui si fa iniziare l’era industriale della birra è il 1789, anno in cui fu concesso dai sabaudi a Giovanni Baldassare Ketter di Nizza Monferrato il privilegio di fabbricare birra “per la città e per il suo contado”.
In realtà, fino alla fine del XIX secolo, la produzione di birra in Italia sarà a dimensione artigianale. Mancando la tecnologia necessaria per creare e controllare il freddo, i primi siti produttivi (Pedavena, Poretti) vennero creati al nord, nelle vicinanze delle catene montuose alpine, così da reperire la bassa temperatura necessaria per avviare il processo di fabbricazione direttamente dalla natura.
Al sorgere del nuovo secolo la birra comincia a diventare di moda, in pochi anni in Italia si contano quasi 100 fabbriche di birra e 600 milioni di ettolitri prodotti. Le aziende cominciano anche a dedicarsi alla comunicazione pubblicitaria per vendere meglio il loro prodotto: storico il “ciociaretto” Peroni, un ragazzo con le “ciocie” ai piedi che regge in mano una birra ghiacciata o i “mori”, anzi, “moretti”, dei manifesti Moretti.
Nel 1907, per riunire in un’unica associazione le diverse realtà appena nate, prende vita l’Unione degli Industriali della Birra, voluta fortemente dal ragioniere milanese Emilio Villa.
Dopo le difficoltà dovute allo scoppio della prima guerra mondiale, che comunque porterà in dote all’Italia le città di Trento e Trieste con le loro 8 fabbriche avviate dagli austriaci tra le quali la Dreher di Trieste e la Forst di Merano, gli anni 20 rappresentano l’età dell’oro per la birra in Italia. In questo periodo si affermano infatti aziende che presto diventeranno le grandi realtà industriali del settore (Poretti, Pedavena, Moretti, Wührer, Menabrea, Peroni, Raffo, Ichnusa), la produzione nel 1925 è di 1,56 milioni di ettolitri di birra e anche il consumo pro-capite raggiunge quote interessanti (3,5 l.).
Proprio a causa della popolarità raggiunta in quel periodo tra gli italiani, le tassazioni sulla birra si fanno sempre più pesanti, tanto da costringere le aziende ad alzare il prezzo del loro prodotto. Negli anni ’30 si assiste così ad un netto calo dei consumi e della produzione, che porta i birrai italiani a realizzare la prima campagna collettiva sulla birra “Chi beve birra campa cent’anni”.
Nel 1942 nasce il baffo Moretti, tutt’oggi icona della pubblicità nostrana, mentre, terminato il secondo conflitto bellico, i consumi tornano a crescere e, dopo la conversione corporativa del ventennio, viene rifondata un’associazione di categoria. Ma sono soprattutto gli anni in cui un nuovo apparecchio entra nelle case degli italiani: la televisione. I produttori ne colgono subito la grande potenzialità e così carosello viene “inondato” di fiumi di birra grazie a testimonial d’eccezione come Fred Buscaglione, Mina e Ugo Tognazzi.
Nei primi anni settanta, grazie anche all’invenzione del frigorifero che consentì alla birra di accedere più facilmente alla famiglie italiane, crebbero notevolmente i consumi pro-capite (16,5 l.) e la produzione (9 milioni di ettolitri), ma una nuova crisi era alle porte: la congiuntura economica colpì anche il settore birrario, già pesantemente penalizzato dalla pressione fiscale. Nonostante ciò si continuò a puntare sulla comunicazione, prima tentando di destagionalizzare il consumo di birra, fino ad allora reputata una bevanda esclusivamente estiva, e poi di esaltarne le virtù, compito affidato alla figura di Renzo Arbore e alla sua celebre frase “birra…e sai cosa bevi”.
Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da una crescita lenta ma costante della produzione e del consumo di birra in Italia, favorita anche dall’ammodernamento delle fabbriche e dall’ingresso di capitali stranieri nel mercato nazionale. E’ il caso ad esempio dell’olandese Heineken (Moretti, Dreher, Ichnusa), della multinazionale SabMiller (Peroni, Nastro Azzurro, Wuhrer, Peroncino), del gruppo Carlsberg (Poretti, Splügen, Bock 1877) e della InBev (Beck’s, Stella Artois, Leffe e Tennent’s), primo gruppo birrario al mondo. Accanto a queste importanti multinazionali sopravvivono poi alcune antiche realtà locali come Forst o Menabrea e altre più recenti come Hausbrandt, che ha rilanciato lo storico marchio triestino Theresianer o la Birra Castello di Udine.
Facendo un paragone con 10 anni fa, oggi abbiamo più marchi/prodotti in circolazione (200 contro gli 86 del 1997), quasi lo stesso numero di fabbriche e malterie (16) e una differente commercializzazione del prodotto: gli italiani preferiscono rivolgersi alla grande distribuzione, i supermercati, per comprare la birra e non più al negozio sotto casa. In merito ai consumi, l’Italia rimane invece, come 10 anni fa, ultima in Europa con 30,3 litri pro-capite.
Oltre che attente al mercato, oggi le aziende produttrici sono molto attive anche nell’ambito della responsabilità sociale. Quelle aderenti ad Assobirra, ad esempio, hanno preso volontariamente la strada della tracciabilità sulle materie prime e della certificazione sull’assenza di OGM e di qualsiasi contaminante nel prodotto e hanno anche scelto di adottare una “Alcohol policy”, attraverso la quale il settore invita a un consumo moderato e responsabile di birra.